Dal 30 Marzo al 18 Aprile 2010 l’Associazione Culturale ZTL porterà in scena presso il Teatro Lo Spazio di Roma lo spettacolo di Edoardo Sylos Labini “Disco Risorgimento”, per la regia di Filippo Gili. Il lavoro verrà poi portato sui palchi d’Italia durante la prossima stagione teatrale, per inserirsi nel dibattito culturale che si svilupperà in occasione del 150° anniversario dell’Unità dell’Italia. Ce ne parla Filippo Gili in un’intervista.
Come è nato il sodalizio tra Filippo Gili e Edoardo Sylos Labini?
«Ci siamo conosciuti con Edoardo tantissimi anni fa, quando tramite un’amica andai a vedere lo spettacolo “Rum&Vodka” al Teatro Colosseo e da lì è nata un’amicizia molto divertente; io l’ho seguito spesso perché è un’artista che fa tantissimi spettacoli e ha la capacità di cooptare molto gli amici: io “Rum & Vodka” l’ho rivisto 6 volte! Ci sono stati altri spettacoli che ha fatto, in particolare mi hanno colpito “Scritti metropolitani” ed il lavoro sul Futurismo “Donne Velocità Pericolo” che era particolarmente bello; l’ho seguito in questo suo percorso chiamato “discoteatro” che è la messa in scena di un rapporto tra la parola e la musica.»
E ti è piaciuta la formula “Discoteatro”?
«Mi è sempre piaciuta sebbene sia lontana dalle mie corde, non adatta a me ma mi sembrava azzeccata per lui, che dal punto di vista della pantomima corporea ha una gran capacità di mettersi in relazione con la musica, ha grande presenza scenica, un’eleganza naturale e può contare su questa costante collaborazione con Aprea.»
Che ruolo ha la musica, invece, in “Disco Risorgimento”?
«Edoardo mi ha chiesto per la prima volta di collaborare al suo spettacolo verso la fine di Dicembre ed eravamo partiti sulla base dell'idea che la drammaturgia di cui mi dovevo occupare, dovesse fare da piattaforma a questo “gioco teatrale” che è musica più parola; piuttosto che essere incentrati sul senso e l’importanza del testo, dovevamo fare del testo una sorta di “pretesto”. Il progetto poi è cambiato e si è sviluppato in un’altra direzione perché io mi sono incredibilmente appassionato al Risorgimento leggendo molti libri sull’argomento. Pur non essendo contrario ad un intervento musicale – anche se a me non piace la musica di “ornamento” in teatro o al cinema, ovvero quella che sentono gli spettatori ma che non sentono gli attori: la trovo una compensazione delle carenze del testo – mi sono voluto concentrare su un’unica opera che fosse rappresentativa del Risorgimento, il Trovatore di Verdi ed in tal senso il “discoteatro” si è trasformato in un “voceteatro”. La musica in questo spettacolo è “prodotta” involontariamente dal cervello di Giuseppe Mazzini in una solitudine psico-drammatica, riminiscenziale. Il Trovatore che ascoltiamo, però è in un certo senso “deformato”, è un’ombra musicale in contraddizione con ciò che avviene sulla scena, come in un quadro impressionista…»
Prima ancora di scrivere il testo, come ti sei immaginato a grandi linee lo spettacolo e poi il personaggio di Mazzini?
«Non conoscevo la grandezza del personaggio di Giuseppe Mazzini prima di addentrarmi nello studio del Risorgimento e per questo ho scelto di incentrare lo spettacolo su di lui e “cadere” nella sua anima, scivolare dentro il suo mondo. Quella che viene messa in scena è la tragedia della relazione tra utopia e disincanto: Mazzini è un profeta che non smetterà mai di credere misticamente all’Italia anche se sa che l’Italia non è stata fatta per colpa di Cavour e dell’ “obbedisco” che Garibaldi a Teano disse a Vittorio Emanuele, eliminando la possibilità che questa nazione potesse costruirsi sulla coesione dell’insurrezione e del rovesciamento del sistema ecclesiale e del sistema monarchico Sabaudo. È, così, viva nel Mazzini che portiamo in scena una sorta di duplice forza eguale e contraria: l’amore per un progetto che non si realizzerà mai e la consapevolezza che non si potrà realizzare.»
Ho visto durante le prove dello spettacolo qualche elemento scenografico: cosa vedremo nella messa in scena finita?
«Ho unito l’idea di uno psicodramma solitario all’interno di un appartamento con delle pedane di cui mi parlava Edoardo e che lui possedeva da tempo, che ci permetteranno di realizzare fisicamente un “percorso” del protagonista. La rappresentazione del suo appartamento sarà metonimicamente indicata da due scrivanie ed un lettino, pochi elementi.»
Se tu fossi Giuseppe Mazzini, cosa faresti o non faresti al posto suo, cosa cambieresti… e principalmente quali attinenze ha questo spettacolo con l’attualità?
«In questo momento mi suiciderei!» (dice, ridendo ironico). «Le affinità e le parentele di questo spettacolo con la realtà attuale sono enormi: basti pensare alla tesi (portata un po’ alle estreme conseguenze attraverso la licenza poetica di uno spettacolo) secondo cui la questione meridionale nasce sulla base della scelta annessionale che fecero i Savoia e Cavour, costringendo Garibaldi a non proseguire nella sua marcia armata su Roma rovesciando lo Stato Pontificio - come fecero per pochissimi mesi nel ’48 – avendo la consapevolezza che ciò avrebbe creato un’autentica decentralizzazione da Torino a Roma del Risorgimento, ed avendo capito che in realtà quello del Sud era un bacino d’utenza di un’antropologia enorme, dispersa, rurale che avrebbe potuto rappresentare una notevole fonte immigrativa per cominciare a immettere manodopera nelle fabbriche capitalistiche che stavano proliferando nel Nord. Il Sud fu annesso senza che vi fosse una assunzione di coscienza nazionale patriottica ma facendolo invece sentire “attaccato con la colla” al resto dell’Italia e provocando fenomeni collaterali come il brigantaggio senza una vera coesione che avrebbe richiesto più tempo.»
E pensando al momento storico che viviamo, c’è secondo te un personaggio che sarebbe in grado di portare avanti ideali simili a quelli in cui credeva Mazzini?
«No, perché siamo nel relativismo, perché siamo nel post moderno, perché le ideologie sono crollate: ti sto dicendo cose che non ritengo offensive perché sappiamo tutti che gli uomini sono cambiati e sono caduti in un mondo un po’ disperso nel vuoto, per cui un uomo così misticamente infervorato è assolutamente impossibile che appaia in una dimensione ideologica e politica in questo momento.»
La gestualità di Mazzini: vedevo che ci stavate lavorando poco fa durante le prove; come hai immaginato si muovesse questo personaggio?
«Non c’era bisogno di tante idee perché Edoardo si muove con una certa naturalezza Semplicemente l’ho immaginato nei movimenti come un uomo libero, ma un po’ stanco e con la goffaggine scritta dalla storia, con una dimensione fisica non all’altezza della dimensione mentale. Deve uscir fuori un po’ della sua frustrazione corporea. Per il resto si tratta dei movimenti di un gentiluomo.»